Regista nota per il suo stile visionario e la capacità di esplorare le profondità dell’animo umano, Samantha Casella, dopo il successo del suo film d’esordio “Santa Guerra”, ha presentato la sua seconda opera, “Katabasis”, durante un evento speciale all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Il film, che la vede anche in veste di attrice, affronta temi complessi come l’abuso e il viaggio nell’aldilà. Un altro successo per Samantha Casella, che sta raccogliendo premi in tutto il mondo, confermando il suo talento e la profondità narrativa.
“Katabasis” è un titolo evocativo e ricco di significati. Cosa rappresenta per te questa ‘discesa nell’oltretomba’ e come hai tradotto visivamente questo concetto nella narrazione cinematografica?
“Katabasis” inizia come una favola che ben presto si trasforma in un incubo: quello di una donna che, dopo aver subito un abuso in età infantile e aver cercato di rimuoverlo, continua a cercare situazioni torbide in cui imporre a sua volta una personalità abusante e manipolatoria. Questa assidua ricerca di oscurità da parte di Nora, l’oppressione da cui Aron, un giovane divo schiacciato dallo star system, non riesce a liberarsi, e il carico di sofferenza che soffoca tutti gli altri personaggi evocano una sorta di discesa negli inferi. Tuttavia, allo stesso tempo, si potrebbe suggerire che non siano morti fisicamente, bensì nell’anima.
Nel tuo nuovo film torni a trattare il tema dell’abuso, già presente nei tuoi lavori precedenti. Cosa ti spinge ad affrontare argomenti così complessi e delicati e in che modo “Katabasis” esplora nuove sfumature rispetto a “Santa Guerra”?
A me affascina il lato oscuro che risiede nella mente, nel cuore, nell’anima delle persone. Se il trauma che muove Santa Guerra proviene da una perdita che genera un dolore immenso, incontenibile, Katabasis procede nella direzione opposta: la disperazione che attanaglia tutti i personaggi è incastrata dentro loro stessi. Inoltre, credo che Katabasis presenti atmosfere più deliranti e torbide rispetto a Santa Guerra.
Oltre a dirigere, interpreti anche il ruolo di Nora, un personaggio estremamente stratificato e indecifrabile. Quali sono state le principali sfide nell’interpretare una donna così complessa e tormentata?
La mia vita, entro certi limiti, ha determinato Katabasis, e le persone che a Los Angeles, a partire dal 2018, hanno insistito affinché studiassi recitazione non hanno mai avuto dubbi sul fatto che avrei dovuto interpretare Nora. Le sfide sono state molteplici: ho scene di nudo, di sesso, scene in cui vengo afferrata al collo, legata, in cui mi spengo sigarette addosso e mi versano cera bollente sul corpo. Emotivamente è stato molto impegnativo. Inoltre, non avendo l’esperienza per “entrare e uscire” da un personaggio così complesso, ho dovuto rimanere un po’ incastrata in Nora per tutta la durata delle riprese.
La scelta di ambientare il film in una ‘casa-prigione’ ricca di segreti e simbolismi risulta molto potente. Cosa rappresenta per te questa villa maestosa e come ha influenzato il lavoro sul set?
Aver potuto ambientare Katabasis a Villa Rotonda, i cui motivi architettonici celano chiari riferimenti esoterici, è stato fondamentale. Insieme alle sculture di Mario Zanoni, considero questa villa un’altra interprete del film. Credo che tutto ciò abbia aiutato il cast e la troupe a entrare nell’umore del film. È stata il palcoscenico ideale per raccontare la storia d’amore, rigorosamente segreta, tra i due protagonisti.
“Katabasis” si avvale di un cast corale con interpreti come Francesco Leone e Bruno Bilotta. Come hai lavorato con loro per costruire la dinamica tra i personaggi e quali sono stati i momenti più significativi di questo processo?
Dal momento in cui ho conosciuto Francesco Leone, ho capito che era l’unico a poter interpretare Aron. Il suo volto esprime quel misto di fierezza e fragilità che lo rende perfetto per il ruolo. Inoltre, ha gli occhi azzurri: possono sembrare dettagli minori, ma per me tutto parte dal volto. Il fatto che sia dotato di grande talento e che si sia creata un’ottima intesa è stato un valore aggiunto. Bruno Bilotta è una garanzia: lavorare con lui significa avvertire il “peso” della sua filmografia, ed è stata una grande esperienza. Posso dire lo stesso delle scene girate con Jacopo Olmo Antinori. Ma come dici tu, è un film corale, e con tutto il cast si è creata una sinergia che ha giovato enormemente al progetto.
Con “Santa Guerra” hai ottenuto un impressionante numero di riconoscimenti, tra cui 202 premi per il miglior film. Anche “Katabasis” sta ricevendo un’ottima accoglienza nei festival. Come vivi il successo e cosa rappresentano per te questi premi?
Mi onora profondamente l’accoglienza che i festival hanno riservato prima a Santa Guerra e ora a Katabasis. Vincere mi onora, ma per me i premi rappresentano anche una spinta a migliorarmi continuamente. È un aspetto che ormai è diventato quasi una mia ossessione.
Il tuo cinema è intriso di simbolismi e riferimenti alla psiche e al trascendente. Quanto di personale c’è in questa tua visione e come riesci a bilanciare l’intimità della tua narrazione con un linguaggio universale?
A me affascina tutto ciò che è avvolto nel mistero, ciò che è incorporeo, immateriale. Alle certezze preferisco i dubbi. Ecco perché la mistica e il soprannaturale mi seducono più di un dogma religioso. Rendere cinematografici questi simbolismi non è semplice. Cerco di far sì che siano emotivamente accessibili e riconducibili a esperienze universali che ognuno di noi può vivere, magari in forme diverse.
Progetti per il 2025 alle porte?
Vorrei concludere la mia “trilogia del subconscio”, iniziata con Santa Guerra e proseguita con Katabasis. Spero di girare o almeno gettare le basi per questo nuovo film. Allo stesso tempo, sto scrivendo un altro progetto: un thriller con risvolti horror e una serie TV.